
Per chi non ha il tempo di seguire l’attualità del Sol Levante, è forse il caso di notare che parliamo di un Paese di 125 milioni abitanti che in media ogni anno accoglie qualche decina di richieste di asilo, circa l’1% del totale. Percentuale che, ad esempio, è al 53% in uno Stato come la Germania che ha un PIL simile a quello giapponese, ma una popolazione di 80 milioni abitanti. Non c’è, dunque, nessuna emergenza immigrazione in Giappone. Questo significa che il provvedimento dell’esecutivo di Tokyo non può essere spiegato con la volontà politica di assecondare i potenziali mal di pancia anti-stranieri di un pezzo del suo elettorato. È vero che la scelta di Toshilde Suga è figlia delle sommosse registrate nel 2019, peraltro rarissime su scala nazionale, nel centro per richiedenti asilo di Nagasaki che costarono la vita a un nigeriano in sciopero contro le condizioni di detenzione a lui riservate. Ma è altrettanto vero che queste, come altre eventuali problematiche connesse al fenomeno migratorio, non hanno spazio nel dibattito pubblico nipponico che riconosce nel suo ultra centenario isolamento geografico e culturale un tratto distintivo della Nazione.
Ma non sono soltanto queste osservazioni a rendere inspiegabile, quantomeno all’apparenza, l’ennesima stretta giapponese sui nuovi arrivati.
C’è da aggiungere, infatti, che il Giappone ha la popolazione più anziana al mondo (il 30% è over-65) e un’economia in buona salute che, al netto del male comune della pandemia, domanda forza lavoro. Ragione vorrebbe, secondo una interpretazione dominante dei fenomeni migratori, che il governo nipponico faciliti, anziché ostacolare, qualsiasi forma di immigrazione per rispondere al fabbisogno nazionale di manodopera e servizi alle persone.
Eppure se dai flussi migratori umanitari passiamo all’analisi di quelli economici, lo scenario non cambia. Nonostante siano aumentati del 160% tra il 1990 e il 2016, rappresentano meno del 2% della popolazione giapponese.
Ma allora come spiegare la recente stretta proposta da Yoshihide Suga?
Certo, come anticipato, fattori storico-culturali portano la Nazione nipponica ha essere chiusa e sospettosa nei confronti dello straniero. Tant’è che sono numerose le condanne delle Nazioni Unite per violazione dei diritti dei richiedenti asilo anche se, al contempo, il Giappone è uno dei maggiori contributori [2] dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati. Tuttavia, la sensazione è che Yoshihilde Suga, il linea con i suoi predecessori, da ultimo Shinzo Abe, sia convinto del primato della politica nella gestione del fenomeno migratorio. Ed è per tale ragione che l’esperienza giapponese sembra smentire la tesi, condivisa dai più, secondo la quale la demografia e l’economia sono le determinanti causali dell’immigrazione.