
I trafficanti di esseri umani cominciano a temere gli smartphone più che le forze dell’ordine. Una novità, al momento flebile quanto una piccola luce in fondo al tunnel che, però, potrebbe rapidamente trasformarsi in un’inaspettata quanto per loro devastante arma letale.
Da un’inchiesta pubblicata lo scorso 25 agosto dal New York Times “A 21st-Century Migrant’s Essentials: Food, Shelter, Smarthphone” emerge infatti con chiarezza che le nuove tecnologie della comunicazione, con tanto di mappe, itinerari e consigli utili via social networks, consentono a migliaia di esuli in marcia dai Balcani verso l’Europa, di “autonomizzarsi” dalla tirannia dei trafficanti. Che, per non finire fuori mercato si vedono costretti, ogni giorno di più, ad abbassare i prezzi pretesi per i loro infami servizi.
Per capire meglio il significato di tanta novità basta leggere la testimonianza di uno che di immigrazione se ne intende e molto. Mohamed Haj Ali, rifugiato siriano da anni impegnato a Belgrado nell’assistenza di compatrioti in fuga tramite l’Adventist Development and Relief Agency, intervistato dal quotidiano americano, spiega che “oggi non è più come ieri quando gran parte degli immigrati in transito nella Serbia erano costretti a versare la loro decima ai trafficanti. Per la semplice ragione che attualmente coloro che arrivano a destinazione, grazie ai social, sono in grado di dare le giuste dritte a quelli ancora nelle retrovie. Fornendo loro le precise coordinate GPS degli itinerari più sicuri e meno controllati memorizzati con i loro smartphone. In base ai miei calcoli, al momento, i prezzi imposti dai trafficanti sono calati di una buona metà”. Riflettete gente, riflettete!