
La verità è che per loro, tenuto conto che sono chiuse sia la via spagnola (Madrid, infatti, può contare, sia pure a pagamento sulla “diga-Marocco” per arginare gli arrivi dall’Africa sub-sahariana), sia quella greca (Atene grazie all’accordo UE-Turchia del 2016 si avvale del prezioso ruolo dell’odiatissima Istanbul per bloccare i flussi in arrivo dal martoriato Medio Oriente), il nostro Paese è restato l’unica alternativa utile per gli ingressi via mare verso il Vecchio Continente.
Stando così le cose, si dimostra per lo meno falso, e infondato, l’argomento ripetuto da molti secondo cui i flussi migratori, come la pioggia, non si possono gestire né fermare. Parliamoci chiaro. Roma, a differenza di Atene e Madrid, è sotto assedio non per colpa del destino cinico e baro ma di due precise ragioni politiche.
La prima: le divisioni politiche che paralizzano Bruxelles e penalizzano l’Italia. Prova ne è il fatto che sull’imperiosa pressione della Germania, preoccupata dall’escalation degli arrivi nel 2015 dalla rotta balcanica (oltre 1 milione), l’UE ha imposto un alt con un costoso ( 6 miliardi di euro) ma efficace accordo con la Turchia. Esattamente quello che si dovrebbe fare, ma non si fa, per la rotta del Mediterraneo aprendo una trattativa con i paesi del Nord Africa dai quali passano e partono le carovane destinate al Bel Paese.
La seconda: la pressione di una attiva, trasversale e variegata lobby interna pro-immigrazione di cui, nel bene e nel male, sono espressione le imbarcazioni delle Ong che operano nel Mare Nostrum. Una galassia politico-culturale [1] che alla difesa dei confini antepone il credo delle porte aperte. Sempre e comunque. Facilitando, di fatto, il lavoro dei trafficanti di esseri umani. Tant’è che a Lampedusa, come ha di recente sostenuto il neo-sindaco Salvatore Martello, è da mesi che sono quasi del tutto spariti i vecchi, malandati barconi di un tempo stracolmi di immigrati. Perché rimpiazzati dalle ben più moderne e attrezzate navi del volontariato, con tanto di droni, che a ritmo incessante fanno la navette tra la Libia e l’Italia.
Questo il quadro. A chi di competenza l’onere (e l’onore!) di trovare un rimedio per dire basta.