Medico dermatologo, direttore della Struttura Complessa di Medicina Preventiva delle Migrazioni, del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto San Gallicano (IRCCS) di Roma, Aldo Morrone è un esperto di medicina delle migrazioni, delle patologie tropicali e della povertà. Dal 1985 si occupa della tutela e promozione della salute delle popolazioni immigrate presenti in Italia. Nel 2007 è stato nominato Direttore Generale dell’Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle Popolazioni Migranti e per il contrasto delle Malattie della Povertà.
West, nell’ambito dell’inchiesta sui “minori stranieri non accompagnati”, ha deciso di intervistarlo per fare chiarezza su un fenomeno tanto taciuto quanto controverso.
1) Dalla nostra inchiesta è emerso che quello dei minori non accompagnati è un fenomeno di ampie dimensioni e che per molti aspetti costituisce una forma collaterale dell’immigrazione clandestina. Lei è d’accordo con quest’analisi? Soprattutto, in base alla sua esperienza, è possibile parlare di un vero e proprio business della criminalità organizzata?
Assolutamente sì, esiste un traffico sul quale è necessario indagare. Grazie alle intercettazioni telefoniche si è scoperto che le organizzazioni criminali sono a conoscenza sia del luogo che del mezzo di arrivo di questi minori che nel gergo della malavita vengono chiamati “valige”. Si è potuto appurare, inoltre, che la dispersione tipica di questi giovani una volta giunti sul territorio europeo è anch’essa voluta e provocata dai criminali. È dunque proprio in queste indagini che occorre investire risorse. Il problema va risolto alla radice, in altre parole nel paese d’origine.
2) Analizzando il fenomeno dei minori non accompagnati, al netto di chi è costretto a fuggire a causa di guerre, instabilità politiche e catastrofi ambientali, emerge che spesso sono proprio le famiglie a sostenere e incoraggiare l’emigrazione dei figli. Condivide questa considerazione?
La maggioranza dei minori è costituita da soggetti di sesso maschile, l’ho potuto costatare a Lampedusa dove ne ho incontrati più di 5.000. Le famiglie sono infatti disposte ad investire sui figli maschi, che potrebbero contribuire, più delle femmine all’aiuto e al sostentamento del nucleo familiare d’origine.
3) Il problema del rimpatrio è molto delicato e non è ben visto dalle organizzazioni che si occupano di accoglierli. Come si coniuga questo con il dettato della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia che, oltre a garantire l’interesse preminente del fanciullo, enuncia anche il diritto del minore a stare con la propria famiglia?
Le autorità che si occupano dell’accoglienza di questi minori sono i Comuni che con la collaborazione di varie associazioni e organizzazioni non governative cercano di fare del loro meglio, spesso con a disposizione esigui finanziamenti che rischiano di separare fratelli e sorelle, che vengono così mandati in diverse località. Si tende a puntare tutto sulle misure di accoglienza, senza comprendere che l’accoglienza non è la soluzione bensì è il punto di partenza per poi effettuare il rimpatrio del minore. È necessaria una legislazione uniforme a livello europeo che possa stabilire criteri comuni a tutti gli stati membri. Le competenze a livello internazionale sono le solite: la Carta Europea dei diritti del fanciullo, la Carta delle Nazioni Unite dei diritti dell’infanzia e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il punto è che il gap tra la teoria e la prassi è enorme.
4) Al momento del loro arrivo i minori hanno il diritto di essere assistiti, premesso che non è sempre chiaro cosa accade al compimento del diciottesimo anno, l’Europa e l’Italia si occupano realmente della loro assistenza? E quali sono le principali problematiche in merito?
In Italia, ad esempio, un minore, al momento del compimento dei 18 anni, ha diritto a restare nel territorio nazionale solo se ha concluso un ciclo di integrazione di tre anni. Che succede dunque se il minore giunge alla maggiore età senza aver concluso triennio di formazione in quanto è giunto in Italia a 16 o 17 anni? In teoria viene espulso. I minori sono percepiti come un problema, e non come una possibilità di arricchimento culturale per la nazione ospitante. Il punto è che non esiste a livello europeo un approccio comune per risolvere questa situazione. L’Italia non è ancora in grado di fornire una vera accoglienza.
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