
Il vero grande problema è che oggi, 48 mesi dopo, l’operazione è riuscita alla grande. Tant’è che oltre 1 milione di immigrati ha fatto le valigie lasciando liberi altrettanti posti che, qui l’enorme imprevisto, nessuno dei disoccupati autoctoni ha voluto rimpiazzare. Per la semplice ragione che in quella che è dopo gli Usa la seconda meta mondiale per numero di stranieri in proporzione alla popolazione, i nuovi arrivati trovano sì occupazione ma come bassissima manovalanza a pessime condizioni retributive e di vita. Prova ne è il fatto che dal momento in cui entrano nel paese, le loro sorti, libertà di movimento inclusa, dipendono dai padroni sauditi che detengono, come strumenti di ritorsione, i rispettivi passaporti.
Il risultato è che adesso il governo non sa che pesci prendere. Se torna sui suoi passi, rischia di perdere credibilità e consenso tra i tanti sostenitori del Prima i sauditi. Ma se va avanti su questa strada deve fare i conti con la rabbia e la frustrazione dei disoccupati autoctoni che chiedono lavoro all’altezza delle loro aspettative. E con i tanti imprenditori che nonostante il ciclo economico assai poco favorevole (complice il crollo del prezzo del petrolio sotto i 55$ al barile) hanno bisogno di manodopera che non trovano.
Una disavventura, quella del governo saudita, forse utile ai tanti che in mezzo mondo, soprattutto occidentale, credono di dettare a colpi di norme e slogan tempi e modi delle dinamiche migratorie. Sottovalutando i desiderata di Sua Maestà il mercato.