L’inchiesta di West sul neopopulismo europeo continua con questa intervista al Prof. Gian Enrico Rusconi. Già Direttore dell’Istituto storico italo-germanico di Trento e Visiting Professor presso l’Università di Berlino, editorialista di diversi quotidiani nazionali, è docente di Scienza Politica presso l’Università di Torino. Rusconi è considerato uno dei più importanti storici e politologi italiani.
1) Perché le formazioni politiche che si dichiarano apertamente anti-immigrati nascono nelle zone più ricche dove si registra una maggiore domanda di manodopera straniera e non in quelle più povere? Tant’è che si parla “populismo alpino” in riferimento ai paesi mitteleuropei che notoriamente sono tra i più sviluppati d’Europa.
Credo che la domanda vada formulata in modo diverso. Nelle zone più ricche c’è maggiore possibilità di articolare pubblicamente, giornalisticamente , l’ ostilità contro l’immigrazione. Di legittimarla politicamente. Nelle zone più arretrate tale ostilità rimane in uno stadio più istintivo e immediato, per così dire. Forse che nel Meridione d’Italia non ci sono brutali sentimenti anti-immigrazione? Ma quando questi esplodono vengono subito patologizzati o ricollegati alla criminalità organizzata. Nelle zone ricche invece, dove assumono la forma del “populismo alpino” ad esempio, tali sentimenti pretendono e ottengono una “dignità” sociologica e culturale che mobilita gli analisti.
In compenso si usa il concetto di populismo come un dato di fatto autoevidente, salvo applicarlo a fenomeni molto eterogenei. Non a caso in Italia si parla di populismo leghista ma anche di populismo berlusconiano. “ Sono due cose diverse “ – si dirà. Appunto. Ma la differenza è data soltanto dalla questione dell’immigrazione, rispetto alla quale il berlusconismo non a caso è reticente se messo a confronto con il leghismo?
In realtà ciò che accomuna il leghismo e il berlusconisnmo è proprio l’enfasi sul “popolo” – inteso dal primo come popolo etnico padano e dal secondo come popolo-degli-elettori berlusconiani. In entrambi i casi c’ è una sottile presa di distanza dal popolo inteso nel senso della cittadinanza costituzionale così come si è espressa ( o meglio era sottintesa ) sinora, bene o male, nella vita politica italiana.
2) L’immigrazione, come tutti i fenomeni di modernizzazione, produce tensioni e paure nella società. In particolar modo, le fasce più deboli si sentono minacciate dai nuovi arrivati. Come spiega il fatto che la sinistra europea, che tendenzialmente si dichiara pro-immigrati, perde il contatto proprio con queste fasce della popolazione che per molti anni hanno rappresentato una parte importante del proprio elettorato?
Non esiste più una “sinistra europea” nel senso sotteso dalla domanda. La sinistra si è autoconvinta di essere pro-immigrazione per ragioni ideali storiche (sinceramente condivise) senza capire che lo status dell’immigrato, nonostante gli indicatori materiali, non è assimilabile ( o succedaneo) a quello del proletariato tradizionale. Tant’è vero che quando riesce a far votare gli immigrati ( a livello locale amministrativo) la sinistra ottiene assai meno consensi di quanto si attendeva.
Ma soprattutto la sinistra non riesce a capacitarsi come mai lavoratori autoctoni di regioni culturalmente e politicamente avanzate ( dove un tempo essa era influente) ora votano Lega o comunque sono molto freddi verso le politiche di sostegno dell’immigrazione proposte dalla sinistra.
E’ un problema serio, soprattutto perché è reso complicato dalla interferenza di motivazioni religiose che la sinistra, con il suo laicismo, sia pure illuminato, fa fatica a capire. Con la conseguenza che essa stessa non è capita né dagli immigrati (islamici innanzitutto) ai quali è sostanzialmente estraneo il concetto di laicità né dal “popolo cristiano” quale viene riscoperto in chiave identitaria presuntivamente religiosa ( tipica è l’idea del crocifisso come simbolo culturale occidentale). In compenso è stupefacente come vengano tollerate le provocazioni della Lega contro la religione islamica, ,o meglio contro le sue necessità espressive esteriori, percepite come “offensive” per l’identità popolare “italiana” ( si noti la disinvoltura con cui in questo caso la “italianità storica” viene restaurata a dispetto della Padania). Credo che qui le analisi socio-economiche servono molto poco.
Il discorso si allarga al ruolo impacciato della Chiesa italiana, che è rigorosa in linea di principio nella difesa di tutte le libertà religiose ma nel contempo è timorosa di perdere consenso presso il suo “popolo” .
3) Tracciamo un bilancio della storia degli ultimi dieci anni di quelle formazioni politiche che semplicisticamente vengono definite populiste. Hanno vissuto storie e tragitti politici diversi: alcune sono state meteore altre, invece, si sono “parlamentarizzate”. Quali sono le ragioni di queste differenze? E, a tal proposito, non crede che Lega Nord rappresenti un esempio di “parlamentarizzazione di successo”?
La “parlamentarizzazione” del populismo ( nel senso detto sopra) è il fenomeno più interessante in Europa, che riporta ancora una volta alla esemplarità del caso italiano.
La Lega si parlamentarizza, nel senso che valorizza con successo all’interno del parlamento il suo peso elettorale, approfittando dell’alleanza strategica con il berlusconismo ( uso intenzionalmente questa espressione per segnalare che – a tutt’oggi – la persona di Berlusconi è insostituibile come collante di forze politiche che, pur considerandosi tutte di centro-destra, tendono al loro interno ad essere competitive sino alla paralisi) . Di più: tra i due leader “populisti” , Bossi e Berlusconi, c’è una grande sintonia personale nella insofferenza verso le regole parlamentari vigenti. Si badi: non si tratta affatto di tendenze autoritarie, neofasciste, come a torto per anni la sinistra ( e molti intellettuali) ha denunciato.
Non è facile trovare un concetto che identifichi con precisione questo orientamento. Si potrebbe parlare semplicemente di tendenza “presidenzialista”, se in ogni forma di populismo non fosse presente una sorta di culto del capo che va ben al di là della formula costituzionale presidenziale.
Insomma nella combinazione tra parlamentarizzazione e presidenzialismo si giocherà il futuro del populismo europeo e italiano in particolare.
Vedi anche: